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L'ETÀ DELLA PIETRA




ALBIANO 10-20Agosto2023. Quella del porfido è attualmente l'industria più importante della Val di Cembra. È stato grazie alla sua estrazione ed al relativo indotto che nell'ultimo secolo la vallata ha conosciuto uno sviluppo ed una prosperità senza precedenti. L'attività è iniziata nei primi anni del XX secolo, ma la coltivazione del porfido cembrano ha conosciuto la sua maggior crescita soprattutto nel secondo dopoguerra: questa pietra rossiccia, utilizzata nel settore dell'edilizia, viene estratta sotto forma di grossi lastroni, particolarmente adatti ad essere trasformati in cubetti per pavimentazione o in larghe pietre piane; buona parte della pietra estratta è destinata all'esportazione. Nei comuni del cosiddetto distretto del porfido (Albiano, Fornace, San Mauro e Lona-Lases, tutti sulla sponda sinistra della valle), la maggior parte dei lavoratori non agricoli è stata impegnata in attività connesse a questa industria.

Allo sviluppo economico però si è accompagnato anche lo sfruttamento massiccio del territorio, che ha dato il via ad un progressivo disboscamento di larghe aree boschive. Oltre al disboscamento, un significativo danno ambientale è dato dai siti abbandonati, ovvero cave non più coltivate e potenzialmente soggette alla riconversione in discariche abusive. Ad oggi, secondo l'ultimo Rapporto cave 2021 di Legambiente, su tutto il territorio Trentino sarebbero 497 le cave dismesse, di cui 32 non riconvertibili. In poco più di venti anni, le cave di porfido si sono ridotte di un terzo, la quantità di materiale prodotto è più che dimezzata, così come il valore complessivo generato dall’attività di lavorazione ed estrazione. Anche i lavoratori sono meno della metà. L’Ispat (Istituto di statistica della provincia autonoma di Trento) rivela che nel 2000 erano 93 le cave di porfido attive in provincia. Venivano estratti 1,4 milioni di tonnellate l’anno, per un valore complessivo di 80,1 milioni di euro. Le cave davano lavoro a 1.253 persone. Nel 2010, le cave si erano ridotte a 91, le tonnellate a 1.048, il valore complessivo della lavorazione a 52 milioni e i lavoratori a 933. Cinque anni più tardi, nel 2015, il calo si fa ancora più drastico: 82 cave, 708 mila tonnellate prodotte per un valore complessivo di 37,8 milioni. Il numero di addetti era pari a 621. Gli ultimi dati, aggiornati al 2021, mostrano che le cave di porfido in attività sono solo 61, producono 639 mila tonnellate l’anno, il valore della produzione è di 37,3 milioni e sono impiegate 489 persone.

Oltre al rischio di trasformarsi in discariche abusive i siti abbandonati o dismessi vanno in contro al rischio di trasformarsi in zone franose che metterebbero a rischio paesi e infrastrutture limitrofe, come è già successo nel 1986 ad Albiano: una frana di alcune decine di migliaia di mc. di materiale si abbatte sul piazzale della ditta Trento Porfidi provocando fortunatamente solo danni ai mezzi e alle strutture. Oppure come ancora oggi succede con la frana dello Slavinach, forse percepita adesso in valle di Cembra come una tra le tante altre che hanno scandito negli anni l’attività estrattiva del porfido. In realtà questa volta il rischio è stato ben maggiore sia per la quantità di materiale, sia per la vicinanza all’abitato, sia per i temibili effetti collaterali che essa potrebbe ancora innescare. La frana nel 2001 ha travolto il biotopo del Lago di Valle, situato nella parte meridionale del paese di Lona-Lases. Nel novembre-dicembre 2000 il livello dell’acqua fu abbassato in gran fretta di 2,5-3 metri per impedire ad una potenziale onda d’acqua, valutata in due metri di altezza, di travolgere parte dell'abitato di Lases nel caso alcune centinaia di migliaia di metri cubi di roccia scivolassero nel bacino.





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